Il progetto di ridare vita a “Gli Stati Uniti d’Europa” fu esposto e discusso per la prima volta durante il forum “Una Costituzione federale per l’Europa”, svoltosi a Roma il 3 febbraio 2003 presso la Biblioteca Giustino Fortunato, con la partecipazione, tra gli altri, di Piero Bellini, Innocenzo Cipolletta, Pier Virgilio Dastoli, Ugo Ferruta, Dino Frescobaldi, Annita Garibaldi, Sergio Lariccia, Enzo Marzo, Stefano Micossi, Gian Giacomo Migone, Gerardo Mombelli, Alfredo Pieroni, Giovanni Russo, Mario Segni, Paolo Sylos Labin e Valerio Zanone, oltre ai direttori della nuova rivista e altri amici della fondazione Critica liberale. Durante il forum fu discusso il Manifesto per l’Europa Federale, successivamente pubblicato nel n. 87, gennaio 2003, di Critica liberale e qui di seguito riprodotto.
Una
Costituzione federale per l’Unione
Dieci punti prioritari PER UN’ALTERNATIVA
ALL’EUROPA DEGLI EGOISMI
NAZIONALI
1.
La costruzione dell’Europa federale deve
essere il programma politico prioritario di tutti i liberali e i
democratici.
2. La riscossa dell’Italia civile passa oggi, come in tutte le tappe decisive della storia del nostro paese - dal Risorgimento alla fondazione della Repubblica - attraverso l’integrazione dell’Italia nell’Europa occidentale e nei suoi valori di libertà, sulla linea di Luigi Einaudi, Alcide De Gasperi, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
3. La difesa di questo patrimonio, contro la deriva antieuropea dell’attuale governo, è dovere di tutte le espressioni politiche italiane, sia moderate che progressiste. L’interesse nazionale si identifica infatti con il contributo attivo alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
4. Solo un’Europa dotata di proprie istituzioni democratiche, direttamente legittimate, e di una forza adeguata alle sue responsabilità, può realizzare quel compito storico di consolidamento della pace che è alla base dei suoi fondamenti ideali.
5. Solo questa Europa, chiamata a farsi promotrice dei diritti umani universali, può bilanciare ogni tentazione unilaterale ed egemonica, rispondendo alle aspirazioni di sviluppo diffuso e di libertà che sono proprie di tutti gli uomini.
6. Solo questa Europa, forte dell’Unione economica e monetaria felicemente raggiunta, può salvaguardare e proporre il valore di un sistema sociale che coniuga libertà, uguaglianza, equità e innovazione.
7. Compito dei cittadini responsabili è battersi perché la Convenzione predisponga una Costituzione che attribuisca all’Unione un vero governo federale.
8. La Costituzione deve riaffermare i valori laici delle istituzioni europee, sulla linea della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.
9. Il processo di allargamento deve valorizzare l’identità dell’Europa e le sue specificità politiche e civili.
10.
Spetta ai paesi fondatori promuovere fin
d’ora un nucleo federale avanzato di democrazia europea,
elemento essenziale
per garantire unità ed efficienza di direzione politica
all’Unione nella fase
di ampliamento.
Proprio
mentre si predispone e si celebra l’allargamento
delle istituzioni comunitarie a gran parte dell’Europa ex
comunista, e proprio
mentre è in corso la discussione sul futuro costituzionale
di tali istituzioni,
l’Unione europea - le sue opinioni pubbliche e le sue classi
dirigenti - sembra
avere smarrito la consapevolezza e il significato storico
dell’intero processo
di integrazione avviato da ormai più di mezzo secolo.
Venute meno la minaccia geopolitica e l’alternativa di sistema e di civiltà rappresentate dal modello sovietico, attenuatasi la centralità della stessa alleanza atlantica nello scenario politico internazionale per effetto delle scelte unilateraliste dell’attuale Amministrazione americana, l’Europa non avverte più l’urgenza delle spinte che ne avevano determinato quel percorso di pace e di integrazione che ancora alla fine della seconda guerra mondiale poteva apparire utopistico, seppur corroborato da realistiche motivazioni e convinzioni.
Anche mezzo secolo fa, la costruzione europea non avrebbe potuto essere avviata senza una forte spinta volontaristica e senza un lungimirante esercizio di leadership da parte delle classi dirigenti di quei vecchi Stati nazionali che Luigi Einaudi chiamava “polvere senza sostanza”. Il processo di costruzione dell’Europa federale non sarebbe infatti mai stato neppure avviato, se abbandonato alla spontaneità delle dinamiche sociali.
Al giorno d’oggi la consuetudine e le quotidiane ragioni di contatto fra europei hanno attenuato di molto le diffidenze reciproche e forse anche il peso di secolari pregiudizi e stereotipi. Tuttavia nell’opinione pubblica persistono preconcetti, diffidenze, incomprensioni verso le istituzioni comuni, per decenni descritte come lontane dalla concretezza e della quotidianità della vita sociale ed economica dei cittadini e intente alla produzione di regolamentazioni burocratiche spesso incomprensibili. All’incapacità delle classi politiche nazionali, per lo più di livello assai modesto, di promuovere una reale democratizzazione delle istituzioni europee, attribuendo ai suoi organi, a cominciare dal Parlamento, poteri adeguati alle forti ragioni geopolitiche, economiche e ideali dell’integrazione, si è aggiunta da molti anni l’abitudine delle stesse classi politiche di scaricare sull’Europa la responsabilità di ogni scelta che apparisse impopolare. Soprattutto in Italia, elettorati diseducati alla politica e alla gravità delle sue scelte da campagne elettorali sempre più ridotte a operazioni pubblicitarie si vedono proporre da partiti e candidati promesse spesso irrealizzabili, o realizzabili al prezzo di pesanti costi economici futuri. Ogni scelta necessaria, ma sgradevole o impopolare, viene al tempo stesso scaricata sulle imperscrutabili e insindacabili decisioni dell’Europa dei tecnocrati, contribuendo alla denigrazione delle istituzioni comuni.
Il costante discredito che ne deriva per le istituzioni europee è ulteriormente aggravato dall’instabilità sociale e dai mutamenti generati dai più generali processi di mondializzazione dell’economia. Molti cittadini hanno l’impressione che le loro vite siano governate da poteri incontrollati e lontani. Demagoghi populisti hanno difuso la convinzione che la sola via d’uscita sia costituita dall’impossibile rifugio nel calore di comunità locali idealizzate e premoderne, fondate sulla condivisione di identità statiche e di valori tradizionali, negatrici in realtà di libertà individuali e scelte di vita non conformate a quelle del passato: in una parola, nel rifiuto della modernità politica e di ogni istituzione e valore peculiare e tipico dell’Occidente liberale.
Ma le classi politiche nazionali sembrano incapaci di far comprendere ai cittadini che è proprio e soltanto la dimensione europea che può consentire di influire in qualche misura sugli stessi processi e mutamenti globali. E che solo istituzioni europee dotate di un’identità politica forte e di una legittimazione propria possono forse essere all’altezza di un tale ruolo e di un tale compito.
E’ indispensabile richiamare i ceti dirigenti europei alle loro responsabilità. E lo stesso vale per una larga parte della cultura europea, che vede il solo merito del processo di integrazione dell’Europa nell’aver spinto alla cooperazione pacifica popoli che poco e nulla avrebbero in comune. L’Unione europea non sarebbe che una versione regionale e più sofisticata delle Nazioni unite, dotata della stessa vocazione universale, che si tratterebbe solo di estendere progressivamente alle regioni limitrofe, in un processo al quale non avrebbe neppure senso segnare confini storici o geografici. Un simile approccio finisce per privare l’Unione di qualunque identità etico-politica, legittimando l’ipotesi di estenderla progressivamente all’intero bacino mediterraneo e ai paesi euro-asiatici.
A questo smarrimento delle motivazioni politiche e ideali vanno contrapposte nuovamente le ragioni dell’Europa e del suo processo di unificazione federale. L’Europa è all’origine della libertà garantita dalle leggi, dei diritti umani, della democrazia, del liberalismo, dello sviluppo economico capitalistico, della rivoluzione scientifica, della libertà di sperimentare nuovi modi di vivere, dell’emancipazione dai vincoli di tradizioni costrittive e autoritarie. Ed è il luogo in cui, nell’ultimo mezzo secolo, lo sviluppo economico si è associato più che altrove a un diffuso sviluppo umano e a migliori opportunità di vita per la generalità dei suoi cittadini; è il luogo in cui più che in ogni altra parte del mondo si sono affermati non solo il governo delle leggi e la certezza del diritto, ma anche la mitezza e l’umanità delle leggi. La Federazione europea deve costituire quindi una tappa decisiva, e in qualche modo un compimento e lo strumento per l’espansione ulteriore di questi valori e di questi principi.
Se sono i valori etico-politici e la qualità civile delle istituzioni a determinare più di ogni altra cosa il carattere e l’identità di una collettività, l’Unione europea è infatti già oggi il soggetto di un’identità forte, che proprio nel mondo globalizzato dovrebbe apparire maggiormente evidente e riconoscibile. Se il patriottismo (contrapposto al nazionalismo aggressivo) che ha inizialmente caratterizzato alcuni dei paesi che più di altri hanno contribuito alla formazione di una tale identità era soprattutto l’amore per le libertà tipiche delle istituzioni del proprio paese, oggi è il patrimonio costituzionale e civile comune dell’Europa occidentale a meritare in massimo grado un tale tributo, ed è per questo che va respinta l’idea insistentemente riproposta dagli euroscettici, secondo cui sarebbero necessariamente le nazioni storicamente date il solo e naturale luogo possibile della democrazia. In natura non esistono né la democrazia né le nazioni. Le istituzioni democratiche e liberali europee sono conquiste storiche, di cui l’Europa federale ci appare come la più ragionevole evoluzione e la più efficace, se non la sola possibile salvaguardia e garanzia di sviluppo futuro.
Particolarmente grave appare la crisi dell’orientamento federalista in Italia, cioè nel paese che più di ogni altro, assieme alla Germania, aveva potuto contare sull’Europa per risalire la china in cui l’avevano spinta l’avventura totalitaria e la sconfitta nella seconda guerra mondiale. Ma anche per non essere ridotta a totale irrilevanza nel contesto della politica e dell’economia internazionali. Era infatti dal 1861 che l’Italia, ultima fra le grandi potenze o prima fra le piccole, non aveva trovato, se non nell’ultimo cinquantennio, come autorevole membro dell’Europa comunitaria, una voce rispettata e un ruolo significativo nella politica internazionale.
Ancora nel referendum consultivo del 1989, gli elettori italiani avevano espresso preventivamente, e in misura plebiscitaria, l’adesione alla costruzione di un’Europa federale, diventata obiettivo comune e condiviso della generalità dei cittadini e della larga maggioranza delle forze politiche. Tale comune obiettivo, per quanto spesso espressione di un’adesione più superficiale che consapevole, era probabilmente la più importante acquisizione politica dell’intero cinquantennio repubblicano, e rappresentava bene la faticosa riconquista collettiva dell’identità democratica dell’Italia dopo la catastrofe fascista e il tramonto delle illusioni totalitarie.
Durante la campagna elettorale per le ultime elezioni politiche una tale scelta di fondo non è stata minimamente posta al centro delle questioni in gioco. Eppure, all’indomani delle elezioni, l’Italia, da paese maggiormente impegnato a favore dell’integrazione federale, quale era stato per decenni, si è ritrovata come capofila degli antieuropei, senza neppure avere a disposizione, come i conservatori britannici, una strategia alternativa.
L’inadeguatezza politica del maggior partito della nuova coalizione di governo e la cultura antieuropea dei suoi due maggiori alleati hanno generato una nuova linea, i cui esiti possono essere molto negativi per l’Europa e ancor più per l’Italia. Non si tratta qui solo della volgare rozzezza di singoli esponenti della maggioranza, ma di un filone antieuropeo che si esprime negli atteggiamenti del ministro dell’economia come nella disinibita incompetenza e improvvisazione in materia del Presidente del Consiglio. L’ostilità nei confronti dell’Unione europea è in realtà ostilità contro la sola istituzione che, ponendo un limite al saccheggio delle risorse pubbliche e imponendo la disciplina finanziaria propria dell’Unione economica e monetaria, è stata e resta in grado di impedire all’Italia di scivolare verso esiti di tipo latino-americano. Con buona probabilità è stato grazie all’euro, peraltro apertamente avversato da alcune forze politiche della maggioranza, che sviluppi del genere sono stati scongiurati; ed è stato solo grazie all’Unione economica e monetaria che la grave crisi del maggiore gruppo industriale italiano non ha avuto conseguenze sistemiche catastrofiche. Vero è che l’impatto con la realtà delle relazioni internazionali sperimentato nel primo anno di governo ha tuttavia imposto qualche battuta d’arresto agli iniziali furori antieuropei.
Di tutte le ottime ragioni che suggeriscono di contrastare con ogni mezzo democratico l’attuale maggioranza parlamentare, la sua politica antieuropea - che purtroppo esprime umori critici condivisi alle ragioni del processo di integrazione anche da buona parte della sinistra italiana e tuttora riemergenti nella sinistra autarchica e populista - ci appare come una delle più rilevanti e delle più urgenti. Ma anche una delle meno frequentate.
Gli Stati Uniti d’Europa intende fornire un luogo di incontro e uno strumento di lotta politica e culturale per chi non intende rassegnarsi al declino della prospettiva federalista europea e all’emarginazione dell’Italia dall’Europa. In particolare si pone i seguenti obiettivi.
• Ricreare in Italia una componente politico-culturale dichiaratamente federalista, ispirata al pensiero e all’opera di Altiero Spinelli, in una linea già additata da Luigi Einaudi e ancor prima dall’Ottocento liberale e repubblicano, che vedevano nell’Europa federale la migliore garanzia del definitivo consolidamento del modello liberal-democratico in tutto il continente. Questo obiettivo deve tornare ad essere il traguardo primario irrinunciabile dei movimenti democratici, senza soluzioni di continuità fra livello nazionale ed europeo. La ragione e l’esperienza storica dimostrano che soltanto il quadro europeo è in grado di garantire, in stretto legame con gli Stati Uniti, la stabilità e la sicurezza socio-economica dei popoli del Vecchio Mondo. Purtroppo negli ultimi anni il federalismo europeo sembra quasi scomparso dalla scena politica e anche da quella intellettuale. Eppure la cultura politica federalista ha espresso una delle tradizioni più lungimiranti del movimento democratico e liberale italiano e probabilmente l’unica a cui gli stessi eredi del socialismo possono fare oggi riferimento per ritrovare un patrimonio di concezioni e di esperienze capaci di orientarne l’azione. Tanto più che l’attuale processo costituente dell’Unione europea si rivelerà presumibilmente decisivo nel condizionare l’evoluzione stessa degli equilibri interni dei singoli paesi e dell’Italia in primo luogo. Ugualmente, il ruolo dell’Italia potrebbe influire in maniera non secondaria sugli esiti di tale processo. Pertanto appare doveroso offrire un nuovo punto di aggregazione alle tante voci che continuano ad esprimere e a rivendicare le ragioni del federalismo europeo. È proprio per questo che probabilmente oggi esistono le condizioni perché i cittadini italiani che hanno a cuore la dignità del proprio paese e che si riconoscono nei valori della democrazia europea trovino nel federalismo l’ispirazione fondamentale e il cemento unitario per una riscossa civile. Come sosteneva Spinelli già negli anni Sessanta, l’Italia è uno dei paesi il cui interesse nazionale coincide più strettamente con quello dell’unificazione del continente.
• Impegnarsi a neutralizzare le attuali forze di governo italiane il prima possibile e con ogni mezzo offerto dalla Costituzione, dalle leggi e dalle regole della democrazia liberale. Esse, infatti, nel momento stesso in cui privavano il paese di una qualunque credibilità a livello europeo, lo orientavano verso scenari pericolosi di improvvisazione politica, autarchia culturale e politica, malgoverno economico, illegalità diffusa, violando i più elementari principi costituzionali e dello Stato di diritto. La battaglia per la creazione della democrazia europea va oggi di pari passo con quella per la sconfitta dell’attuale maggioranza, che ha anche mancato al dovere di dare un contributo fondamentale, in senso federale, all’attuale fase costituente. In tale inaccettabile contesto di attacco generalizzato alla società liberal-democratica, appare pertanto indispensabile:
a) rinnovare le azioni di protesta e di opposizione civile sul piano interno, anche per dimostrare al resto dell’Europa la volontà di recupero democratico di tanta parte del paese e per contribuire in modo attivo alla costruzione di un’Unione fondata sulla legalità e sul reciproco rispetto, che sempre più si rivela come il più solido ancoraggio democratico, soprattutto per i paesi europei che in un passato più o meno recente hanno conosciuto forme di potere totalitario;
b) promuovere un dialogo con quelle componenti politico-culturali moderate, anche presenti nell’attuale maggioranza, che sono favorevoli all’integrazione europea in una prospettiva federalista e non paiono sempre disposte a fornire coperture allo stravolgimento della legalità e del patto costituzionale sottoscritto, dopo la sconfitta del fascismo, da tutti i partiti che lo avevano combattuto;
c) ricercare il sostegno del quadro europeo, facendo appello a tutti gli strumenti di tutela e di garanzia contro gli attacchi alla legalità interna e ai principi elementari della giustizia. In particolare appellarsi alle sedi europee, con il sostegno dei cittadini, nello spirito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e per far valere i principi affermati negli articoli 6 e 7 del trattato dell’Unione Europea che forniscono una tutela europea al rispetto della legalità interna nei singoli Stati membri.
• Difendere la democrazia sovranazionale come alternativa al ricorso alla forza nelle relazioni internazionali, valorizzando, proprio nella chiave consapevolmente federalistica in cui era stato concepito, il dettato costituzionale italiano. Mediante tale approccio appare possibile:
a) evitare il pericolo di un pacifismo pregiudiziale, dalle valenze anti-occidentali e comunque carente di prospettive praticabili anche perché costantemente tentato di sottrarsi alla verifica delle conseguenze di un’azione politica improntata alla mera proclamazione di fini etico-politici. Tali fini possono essere spesso largamente condivisibili, ma, in mancanza di concrete scelte sui mezzi adeguati e congrui al loro perseguimento nelle situazioni storicamente date, la loro semplice proposizione può perfino tradursi all’atto pratico nella loro più brutale negazione
b) scongiurare il riproporsi di logiche di potenza sia di singoli Stati europei, sia della stessa Unione. L’Ue non dovrà essere lo strumento al servizio di una politica estera egemonica, ma, ovunque ne sussistano le condizioni, la protagonista di una sistematica trasformazione dei rapporti di forza in relazioni politiche e giuridiche. Anche per questo è auspicabile un’intensificazione dei legami fra partiti, sindacati, associazioni, dei paesi occidentali e delle altre aree del mondo, con il fine di accrescere l’integrazione fra le società
c) attivarsi per favorire un’evoluzione in senso liberale e democratico delle istituzioni dei paesi ancora soggetti al dominio di poteri autoritari o dispotici
d) scongiurare l’aggravarsi delle condizioni di sudditanza di taluni paesi europei, tra cui l’Italia, nei confronti dell’unica potenza egemone a livello mondiale, la cui attuale leadership appare incline a interventi unilaterali per fronteggiare le crescenti tensioni del quadro internazionale. Pur restando a tutt’oggi gli Usa fattore di stabilità e di coesione dell’Occidente, e pur restando necessaria e determinante per il destino della pace e delle libertà nel mondo la politica di integrazione fra democrazie, è un fatto che l’attuale strategia degli Usa coinvolge gli occidentali in un ruolo sempre più gravoso di gendarmi del mondo, rischiando di logorare i valori fondanti dei loro sistemi politici. In Italia, la sudditanza della maggioranza di governo verso l’attuale Amministrazione americana appare motivata dal tentativo di consolidare sul piano interno il proprio potere attraverso il ricorso ad una legittimazione esterna, alternativa a quella perduta a livello europeo. E questo anche a costo di esporre il paese a inutili rischi. Il recente emergere in Italia di forze politiche populiste inclini a porsi al servizio dei forti richiama alla mente l’Italia asservita delle epoche pre-risorgimentali. In definitiva sarebbe preferibile per gli stessi Stati Uniti avere al fianco un partner attivo e responsabile, cioè l’Europa nella pienezza della sua autonomia politica, piuttosto che dover sospingere singoli paesi lungo un percorso che essi non condividono, o che, anche se lo condividono, seguono di fatto con stanchezza e senso di frustrazione, perché si rendono conto di essere fortemente condizionati nelle loro scelte. Una simile situazione rappresenta un non trascurabile fattore di debolezza per l’Occidente e per l’insieme della comunità internazionale
e) avviare un approfondito dibattito che tenga conto della necessità della dimensione continentale dell’Europa, da un lato, ma anche dell’urgenza di definire i confini dell’Unione - che gli Stati Uniti vorrebbero notoriamente estendere alla Turchia e magari anche alla Russia - e soprattutto di dotare l’Ue di un governo efficiente, in grado di decidere e di agire. I punti di riflessione essenziali, prima di esprimere un giudizio definitivo, devono ricomprendere l’ipotesi di un nucleo duro federale, la possibile fisionomia dell’Unione allargata (ivi compresa l’eventualità di una confederazione europea più ampia, che comprenda l’Unione e i paesi limitrofi i quali, pur senza possedere i requisiti necessari all’adesione o non essendovi neppure interessati, siano però intenzionati a realizzare con essa una maggiore integrazione economica e sociale), i rapporti fra questa e il Consiglio d’Europa. In ogni caso il processo di allargamento dovrà salvaguardare e valorizzare le specificità politiche e civili dell’Europa
f) compiere un’approfondita analisi dei fattori di instabilità del quadro mondiale, con particolare attenzione ai fermenti di un mondo musulmano diviso fra aspirazione alla modernizzazione e richiamo fondamentalista, al ruolo della Turchia fra Oriente e Occidente, nonché alla crisi mediorientale, che richiede una riflessione sulla natura dello Stato di Israele e del futuro Stato palestinese alla luce delle concezioni federaliste
• Sostenere l’attuale processo costituente dell’Unione europea, operando anche nei confronti della Convenzione affinché non vengano disattesi alcuni principi irrinunciabili: tra di essi, il rappporto fiduciario fra la Commissione (cui spetta il governo dell’Unione) e il Parlamento europeo; la non commistione fra i diversi livelli di rappresentanza (per esempio fra Parlamento europeo e Parlamenti nazionali); l’attribuzione alle istituzioni dell’Unione di responsabilità politiche limitate ma chiare e adeguate ai compiti di portata sovranazionale che le spettano; il voto a maggioranza generalizzato in Consiglio. In questo contesto, appare essenziale non strumentalizzare il principio di sussidiarietà per riappropriarsi di competenze già attribuite all’Unione, appoggiando invece attivamente la Commissione europea, impegnata in un decisivo braccio di ferro con le tendenze intergovernative e orientate alla rinazionalizzazione. Si deve inoltre sottolineare il basso profilo federalista assunto dai rappresentanti dell’Italia nella Convenzione, impegnandosi a denunciare il risultato stesso dei lavori della Convenzione, se alla fine esso dovesse rivelarsi inadeguato al livello della sfida per l’Europa e il suo futuro.
• Incoraggiare una politica di alleanze tra i federalisti di tutta Europa, appoggiando al tempo stesso i leader politici europeisti più impegnati, tra cui il ministro degli Esteri della Germania, confermato in carica da un lungimirante suffragio popolare ed entrato recentemente nella Convenzione europea per difendere posizioni nettamente favorevoli alla prospettiva federale.
• Esigere la creazione di un nucleo federale all’interno dell’Unione come condizione indispensabile per salvaguardare e rilanciare il processo di integrazione. Tale prospettiva, che costituisce una responsabilità storica ineludibile innanzitutto dai paesi fondatori, dovrà assolutamente vedere partecipe il nostro paese, sia per assicurare ad esso i giusti vantaggi derivanti da un ruolo trainante nel processo di unione, sia per motivare l’opinione pubblica in una fase in cui l’allargamento potrebbe provocare un senso di marginalità e di indifferenza, oltre al rifiuto degli inevitabili oneri economici.
• Difendere le imprescindibili esigenze di sicurezza dei cittadini europei, in primo luogo contro il pericolo incombente di devastanti attentati terroristici, rivendicando la necessità di un governo europeo nella pienezza dei suoi poteri in materia di sicurezza. Un’Europa divisa infatti non solo è più debole, ma anche più esposta a ricatti in grado di minare la solidarietà fra gli Stati membri con conseguenze destabilizzanti
• Impegnarsi per legare concretamente i cittadini all’avventura europea, attraverso una politica comune dell’Unione finalizzata al rilancio economico, degli investimenti, delle infrastrutture, della formazione permanente e di alto livello, delle tecnologie, delle comunicazioni, quale era stata prospettata nel piano Delors, ma mai attuata a causa della passività o degli egoismi dei governi. Oggi il piano Delors è tornato di attualità di fronte all’inadeguatezza delle attuali politiche economiche e al rallentamento del ciclo economico mondiale, suscitando l’interesse di ampi settori del mondo sindacale e imprenditoriale. In tale contesto appare indispensabile il conferimento alla Commissione europea di reali poteri in materia di politica economica, che vadano a completare il governo dell’euro, affidato all’unico organismo sovranazionale oggi operante, la Banca centrale europea.
• Promuovere uno scambio virtuoso, in campo economico-sociale, tra la creazione di un governo europeo dell’economia e l’alleggerimento degli aspetti più ingombranti dello Stato sociale, favorendo così lo svecchiamento delle economie e delle società nazionali ed offrendo soprattutto ai giovani i vantaggi in termini di stabilità e di incentivi allo sviluppo assicurati da una dimensione europea delle politiche economiche. In primo luogo si impone l’armonizzazione delle politiche sociali e di quelle fiscali all’interno del mercato unico. Su tali scelte coraggiose sembra esserci un ampio consenso in Italia fra i sindacati e forze imprenditoriali.
• Realizzare la società della conoscenza nel quadro dello sviluppo sostenibile, rimuovendo gli ostacoli posti dal pensiero oscurantista alla ricerca medica e scientifica, in un quadro di trasparenza, controllo e rispetto delle procedure stabilite dalla legge oltre che dalla comunità scientifica. Investire nell’innovazione, nella ricerca, nello sviluppo di tutte le possibili fonti di energia rinnovabili, in nuove risorse energetiche e in tecnologie pulite deve essere un terreno di elezione dell’affermazione economica e del progresso civile dell’Europa del XXI secolo. La materia prima dei sistemi economici contemporanei sono le risorse umane. Grazie alla ricchezza delle sue diversità culturali e a cinquant’anni di pace, che hanno messo fine a secoli di guerre civili, l’Europa dispone di un patrimonio inestimabile.
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