Il
riaccendersi del terrorismo e della “jacquerie”
con l’inerente richiesta
“popolare” di una “stretta”
sulle libertà e sui diritti dei cittadini norvegesi
ed inglesi, ha segnato un’ulteriore accelerazione nel
processo di mutamento a
cui il quadro politico europeo è da tempo soggetto. Se a
questo si sommano le
proteste e le rivendicazioni che hanno
attraversato l'Europa, da Madrid a Parigi, da Barcellona ad Atene,
unendole al
significativo dato che emerge dalle elezioni amministrative in
Germania,
Francia, Inghilterra, Spagna ed Italia, si vedrà come un
preciso trend relativo
all’orientamento politico del vecchio continente stia
prendendo
ineluttabilmente forma. I cittadini europei iniziano ad auspicare e ad
appoggiare, attivamente o passivamente, una nuova politica a tendenza
"radicale" (ovvero mirante a delle soluzioni
“forti” che affrontino
alla radice i problemi; un approccio che si oppone a quello
“moderato”): la
crisi sta progressivamente polarizzando l'opinione pubblica europea
divisa su
tutto tranne che sul rifiuto del sistema politico ed economico del
passato - ad
impronta tecnocratico-liberale - e della classe dirigente che l'aveva
prodotto
e difeso. In questi frangenti l'Unione europea, percepita come
una
pericolosa entità burocratica e liberista (un paradosso
doppiamente vizioso),
rischia di essere tra le prime vittime del futuro scenario politico,
fatta
salva una sua metamorfosi complessiva che ne inveri le
virtualità positive.
Infatti, con l’incedere rovinoso della crisi, si palesa una
precisa questione.
Agli occhi dell'opinione pubblica dei paesi europei non è
più possibile
sostenere un’Unione che faccia pagare ai sistemi sociali di
livello nazionale i
costi della, pur necessaria, riorganizzazione economica senza garantire
ad essi
nessuna scelta sostanziale sul piano politico. Si aprono, quindi, due
sole
strade : o si torna alla completa ed esclusiva nazionalizzazione della
politica
sociale ed economica (con buona pace del mercato comune,
dell’euro, della
nostra stabilità e del nostro tenore di vita) o si procede
con un salto deciso
verso la sovranità comune dei cittadini europei, che
consenta a quest’ultimi di
costruire democraticamente un’alternativa produttiva, sociale
e civile al
sistema che sta crollando. Per usare una coppia concettuale beckiana -
adoperandola in un quadro teorico diverso da quello dell’
“Europa Cosmopolita” -
si può dire che, con l’aggravarsi della crisi,
stia finendo il tempo dei “Sia-Sia”
e si stia entrando in quello degli “Aut-Aut”.
Siffatta
problematica non sembra essere stata affatto compresa dalla coppia
franco-tedesca e dai rispettivi governi che, facendo strame di una
già
inesistente Commissione (ma Barroso dov’era nel mentre del
vertice
franco-tedesco? Non pervenuto), si ostinano a non voler fare seriamente
i conti
con i problemi del presente riproponendo, di fatto, un direttorio
franco-tedesco sotto un, già documentatamente inefficace,
velo
intergovernativo. In questo modo, con questo miope fare conservatore,
contribuiscono a loro volta a far crescere il partito degli
euroscettici e a
colorare di vernice antieuropea il radicalismo politico in formazione.
Tuttavia
sotto la chiassosa sicumera mediatica dei vetero-europei e degli
anti-europei
(che in realtà alimentano il medesimo circolo vizioso, come
se si trattasse di
due facce della stessa medaglia regressiva) si inizia a delineare
l’idea di
un’Altra Europa. Tale prospettiva si è andata
magmaticamente sbozzando
nell'azione degli indignados
spagnoli, dei movimenti sociali francesi, degli ecologisti tedeschi,
dei
blogger europeisti inglesi, nel pensiero di quei liberali che hanno
compreso
l’importanza della dimensione giuridica e sociale europea,
ecc. Per permettere
una proficua e coerente ibridazione tra queste idealità
occorre tuttavia
fornire loro una matrice comune capace di incanalarle in un orizzonte
democratico ed istituzionale che vada oltre i limiti dell'attuale multilevel system of government. Occorre
infatti far confluire queste legittime aspirazioni e proposte in un
unico
progetto politico volto a promuovere un'autentica "European
Revolution" in grado di fornire una risposta alle
drammatiche istanze del nostro tempo: il che può nascere - e
sta nascendo -
solo dall'incontro e dal dibattito transnazionale tra tutte le
realtà
movimentiste e politiche che si stanno esprimendo in questo senso.
Siffatto
indirizzo, altresì, non invalida e non si pone contro i
grandi risultati (pace
tra i paesi europei, stabilità monetaria, libertà
di movimento, diritti di
cittadinanza, ecc.) del processo d’integrazione europeo;
semmai li rilancia,
salvandoli dai rischi di una dinamica politica che potrebbe finire per
distruggerli. Infatti - se non si affermerà l'idea di
un'Altra Europa e una
coalizione europea a suo sostegno - non solo l'attuale Unione, con le
importanti conquiste giuridiche, politiche ed economiche ad essa
legate,
entrerà in una spirale pericolosissima, ma si vedranno,
presto o tardi (in
parte già si vedono), le forze etno-populiste al potere in
molte realtà
nazionali dell'Unione, con un effetto regressivo sugli assetti europei
e
mondiali : basti pensare all’attuale governo ungherese e alla
possibilità
concreta che una Marie Le Pen diventi Presidente della Repubblica
francese.
Il
liberalismo, in questa delicata fase,
dovrà scegliere: o si aprirà alle istanze
sociali, comprendendo come la libertà
dell'essere umano passi anche dalla partecipazione e dalla tutela
sociale o
rischierà concretamente di essere spazzato via dai populismi
insieme all'Unione
europea. In tal senso è importante che l'idea di un'Altra
Europa veda la
partecipazione di quelle forze liberali che hanno capito come la
libertà oggi
passi da una riforma delle regole della vita politica e dalla creazione
di
nuove forme di tutela sociale e di relazione tra i poteri (è
decisivo
comprendere come il problema del potere investa la società
europea con modalità
completamente diverse rispetto al passato). Su tale scia l'idea di
un'Europa
federale potrà arricchire in maniera decisiva la riflessione
istituzionale e
democratica di tutte quelle forze che, in nome di un'Altra Europa,
chiedono
oggi riforme sociali, economiche e ecologiche. Portare avanti questo
orizzonte
propositivo e positivo in risposta a queste legittime istanze
creerà l'humus
per promuovere una riforma delle regole comuni sul piano europeo e per
procedere ad un'ulteriore accelerazione del processo di integrazione
politica
che abbia come volano e fine la creazione di nuovi strumenti
democratici per la
risoluzione dei grandi problemi comuni. Non è infatti
pensabile, ad esempio,
che la scelta sul nucleare sia fissata su base nazionale essendo il
rischio ad
essa connesso distribuito su base continentale. Non è,
altresì, possibile avere
ventisette politiche estere, così come è
pericolosissimo pensare che i
differenti problemi legati ai conflitti d'interesse o alla violazione
del
diritto all’informazione su base nazionale (Italia,
Inghilterra, Romania,
Ungheria, ecc.) creino degli effetti solo all’interno dei
singoli paesi coinvolti.
Ma
la risposta a tali questioni sarà
possibile solo alla luce di una proposta politica ed intellettuale
complessiva
che legittimi una rivoluzione democratica sul piano europeo:
è, quindi,
fondamentale promuovere, contro i populismi etnocentrici e la vuota
demagogia
dei governi, un'idea d'Europa che legittimi e sussuma in un unico
indirizzo gli
esiti alternativi al presente già iscritti nelle
possibilità storiche del suo
divenire e riscontrabili nelle stesse richieste che si levano oggi a
gran voce
dalla sua società. Bisogna, quindi, fronteggiare il
trend-tzunami della
radicalizzazione sviandolo dai suoi esiti più pericolosi e
incanalandolo in un
bacino progettuale comune al fine di trasformarlo in
un’ondata democratica virtuosa.
Giunti a questo punto sarebbe di sterile e pilatesco uso comune scimmiottare la “Critica al programma di Gotha” scrivendo “dixi et salvavi animam meam”. Infatti - e lo tenga ben presente il lettore responsabile - si ritiene che non resterà alcun anima senz’accendere una praxis.
26
settembre 2011
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